24 Ore per il Signore 2019

Neppure io ti condanno (Gv 8,11)

Print Mail Pdf

IMG_2313

LITURGIA PENITENZIALE - "24 ORE PER IL SIGNORE"

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Venerdì, 29 marzo 2019

[Multimedia]

 

 

«Rimasero solo loro due: la misera e la misericordia» (In Joh 33,5). Così sant’Agostino inquadra il finale del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. Sono andati via quelli venuti per scagliare pietre contro la donna o per accusare Gesù nei riguardi della Legge. Sono andati via, non avevano altri interessi. Gesù invece rimane. Rimane perché è rimasto quel che è prezioso ai suoi occhi: quella donna, quella persona. Per Lui prima del peccato viene il peccatore. Io, tu, ciascuno di noi nel cuore di Dio veniamo prima: prima degli sbagli, delle regole, dei giudizi e delle nostre cadute. Chiediamo la grazia di uno sguardo simile a quello di Gesù, chiediamo di avere l’inquadratura cristiana della vita, dove prima del peccato vediamo con amore il peccatore, prima dell’errore l’errante, prima della sua storia la persona.

«Rimasero solo loro due: la misera e la misericordia». Per Gesù quella donna sorpresa in adulterio non rappresenta un paragrafo della Legge, ma una situazione concreta nella quale coinvolgersi. Perciò rimane lì con la donna, stando quasi sempre in silenzio. E intanto compie per due volte un gesto misterioso: scrive col dito per terra (Gv 8,6.8). Non sappiamo che cosa abbia scritto e forse non è la cosa più importante: l’attenzione del Vangelo è posta infatti sul fatto che il Signore scrive. Viene alla mente l’episodio del Sinai, quando Dio aveva scritto le tavole della Legge col suo dito (cfr Es 31,18), proprio come fa Gesù ora. In seguito Dio, per mezzo dei profeti, aveva promesso di non scrivere più su tavole di pietra, ma direttamente sui cuori (cfr Ger 31,33), sulle tavole di carne dei nostri cuori (cfr 2 Cor 3,3). Con Gesù, misericordia di Dio incarnata, è giunto il momento di scrivere nel cuore dell’uomo, di dare una speranza certa alla miseria umana: di dare non tanto leggi esterne, che lasciano spesso distanti Dio e l’uomo, ma la legge dello Spirito, che entra nel cuore e lo libera. Così avviene per quella donna, che incontra Gesù e riprende a vivere. E va per non peccare più (cfr Gv 8,11). È Gesù che, con la forza dello Spirito Santo, ci libera dal male che abbiamo dentro, dal peccato che la Legge poteva ostacolare, ma non rimuovere.

Eppure il male è forte, ha un potere seducente: attira, ammalia. Per staccarcene non basta il nostro impegno, occorre un amore più grande. Senza Dio non si può vincere il male: solo il suo amore risolleva dentro, solo la sua tenerezza riversata nel cuore rende liberi. Se vogliamo la liberazione dal male va dato spazio al Signore, che perdona e guarisce. E lo fa soprattutto attraverso il Sacramento che stiamo per celebrare. La Confessione è il passaggio dalla miseria alla misericordia, è la scrittura di Dio sul cuore. Lì leggiamo ogni volta che siamo preziosi agli occhi di Dio, che Egli è Padre e ci ama più di quanto noi amiamo noi stessi.

«Rimasero solo loro due: la misera e la misericordia». Solo loro. Quante volte noi ci sentiamo soli e perdiamo il filo della vita. Quante volte non sappiamo più come ricominciare, oppressi dalla fatica di accettarci. Abbiamo bisogno di iniziare da capo, ma non sappiamo da dove. Il cristiano nasce col perdono che riceve nel Battesimo. E rinasce sempre da lì: dal perdono sorprendente di Dio, dalla sua misericordia che ci ristabilisce. Solo da perdonati possiamo ripartire rinfrancati, dopo aver provato la gioia di essere amati dal Padre fino in fondo. Solo attraverso il perdono di Dio accadono cose veramente nuove in noi. Riascoltiamo una frase che il Signore ci ha detto oggi attraverso il profeta Isaia: «Io faccio una cosa nuova» (Is 43,19). Il perdono ci dà un nuovo inizio, ci fa creature nuove, ci fa toccare con mano la vita nuova. Il perdono di Dio non è una fotocopia che si riproduce identica a ogni passaggio in confessionale. Ricevere tramite il sacerdote il perdono dei peccati è un’esperienza sempre nuova, originale e inimitabile. Ci fa passare dall’essere soli con le nostre miserie e i nostri accusatori, come la donna del Vangelo, all’essere risollevati e incoraggiati dal Signore, che ci fa ripartire.

«Rimasero solo loro due: la misera e la misericordia». Che cosa fare per affezionarsi alla misericordia, per superare il timore della Confessione? Accogliamo ancora l’invito di Isaia: «Non ve ne accorgete?» (Is 43,19). Accorgersi del perdono di Dio. È importante. Sarebbe bello, dopo la Confessione, rimanere come quella donna, con lo sguardo fisso su Gesù che ci ha appena liberato: non più sulle nostre miserie, ma sulla sua misericordia. Guardare il Crocifisso e dire con stupore: “Ecco dove sono andati a finire i miei peccati. Tu li ha presi su di te. Non mi hai puntato il dito, mi hai aperto le braccia e mi hai perdonato ancora”. È importante fare memoria del perdono di Dio, ricordarne la tenerezza, rigustare la pace e la libertà che abbiamo sperimentato. Perché questo è il cuore della Confessione: non i peccati che diciamo, ma l’amore divino che riceviamo e di cui abbiamo sempre bisogno. Può venirci ancora un dubbio: “confessarsi non serve, faccio sempre i soliti peccati”. Ma il Signore ci conosce, sa che la lotta interiore è dura, che siamo deboli e inclini a cadere, spesso recidivi nel fare il male. E ci propone di cominciare a essere recidivi nel bene, nel chiedere misericordia. Sarà Lui a risollevarci e a fare di noi creature nuove. Ripartiamo allora dalla Confessione, restituiamo a questo sacramento il posto che merita nella vita e nella pastorale!

«Rimasero solo loro due: la misera e la misericordia». Anche noi oggi viviamo nella Confessione questo incontro di salvezza: noi, con le nostre miserie e il nostro peccato; il Signore, che ci conosce, ci ama e ci libera dal male. Entriamo in questo incontro, chiedendo la grazia di riscoprirlo.